Ieri sera Daniel Pennac e la Compagnie Mia mi hanno regalato un Sogno. Nella mia città, a due passi da casa, ho assistito allo spettacolo Dal sogno alla scena, regia di Clara Bauer con Pako Ioffredo e Demi Licata. Ed è stato davvero incredibile.
Verso le due del pomeriggio ho guardato fuori dalla finestra e c’era un sole meraviglioso. “Chissà se in questo momento, proprio sotto questo stesso sole, Pennac sta posando gli occhi sulle strade e i paesaggi che ogni giorno incrocio anche io”. E via di questi pensieri fino a sera.
La sala del teatro era gremita e si respirava un’energia surreale. Sono certa che tutti, o almeno tutti noi lettori affezionati, poco prima che le luci si spegnessero ci stessimo chiedendo “…ma sta accadendo davvero? Tra qualche secondo Pennac comparirà qui, sul palco della nostra cittadina mezza morta di periferia?”. Un palco nobile, ad onor di cronaca, per il suo passato e per la storia dei suoi personaggi, ai quali anche io mi sento profondamente legata. E così, in un’atmosfera ammantata di sogno e di irrealtà, la luce è calata e la voce di Daniel, piena e forte, ha riempito il nostro teatro. Il mio cuore ha sorriso, ho incrociato i volti degli altri fortunati piegarsi anch’essi in un sorriso incredulo, come a dire “eh sì, Daniel Pennac è proprio qui, al di sopra di ogni sospetto“.
Sogni, ricordi, intuizioni, la scena è pervasa di sensazioni e momenti, flash dell’autore e degli attori narrati con enfasi dalle musiche di Alice Loup e Antonio Urso. Arriva forte e chiaro l’omaggio a Maradona, a Napoli e alle radici, in particolar modo grazie all’interpretazione viscerale di Pako Ioffredo e Demi Licata. C’è Pennac in questo spettacolo ma ci sono anche loro, due giovani attori partenopei animati da talento e umanità. Un’umanità che grida vergogna e rivendica il dolore per le vittime di tutti i conflitti, e le ingiustizie, e le iniquità del mondo, sottolineando ancora e sempre l’azione salvifica dei sogni, perché non tutti i bambini – per fortuna – muoiono nelle guerre ma alcuni restano lì, a giocare con i sassi tra le macerie, nella parte sfortunata della Terra.
Si delinea poi la figura di Fellini con il cahier dei sogni, seguito da Nabokov e il caso, due buoni e cari amici letterari di Pennac. Intravedo ad un certo punto Grazie, Storia di un corpo e, con autentica emozione, Bernard.
“Ho perso quel po’ di dolcezza che restava nel mondo” e bam, un pugno sordo nello stomaco. Sparisce in dissolvenza l’attore, l’autore che tanto amo, e resta un uomo con i capelli bianchi e un dolore ancora vivo, che si fa lieve nella condivisione.
Calato il sipario, Daniel Pennac si è accomodato in prima fila nella sala ormai vuota e siamo tornati dentro in molti, chi per un saluto, chi per una foto o per una dedica. Eravamo rimaste in dieci persone o forse meno, era l’occasione perfetta (e forse mai più ripetibile) per parlargli, raccontargli di questo sito, semplicemente salutarlo. E invece sono rimasta a distanza, ad osservarlo sorridere, scambiare qualche parola con i suoi lettori e firmare gentilmente le sue opere.
Tornando a casa ho capito perché non ho voluto incontrarlo.
Da quando ho cominciato a scrivere qui, Daniel Pennac per me è una fantasia onirica speciale, un’immagine sfocata e vivida a tratti. Un mio personalissimo sogno in una serata di fine novembre, che la vicinanza avrebbe reso fin troppo reale.