L’ultima volta che sono stata a Parigi ho alloggiato nel quartiere Père Lachaise, precisamente in Rue Villiers de l’Isle-Adam. Non si tratta di una via turistica, anzi. Me la ricordo drappeggiata di impalcature, con palazzi piuttosto anonimi da un lato – venendo da Rue de la Chine – e alberi ed aiuole sul marciapiede opposto. Montmartre (due volte), Notre Dame, La Défense, questi i luoghi dove avevo soggiornato le quattro volte precedenti. Inutile negare la bellezza di vivere per qualche giorno a due passi dalla Cattedrale in un delizioso studio, con il profumo della boulangerie all’angolo che invade la stanza. O il fascino di fare colazione con un libro, nel giardino della “tua” villetta con affaccio sul Sacro Cuore.
Eppure, in quel monolocale di Rue Villiers de l’Isle-Adam mi sono sentita a Parigi come mai prima. La casa di Aurélie era piccolina ma ben divisa, pulita ed in ordine e con un affaccio davvero suggestivo sui tetti (che di più belli di quelli parigini, secondo me, non ce n’è al mondo). Il quartiere mi ha rapita da subito, non saprei dire bene perché. Ricordo ogni particolare, compresi i nomi delle vie che erano diventati per me punti di riferimento. Una fra tutte Rue Dupont de l’Eure: come dimenticare il bistrot in cui ho cenato praticamente sempre? O il vicolo di Rue Pelleport dove c’era quel negozietto indiano che stampava fogli e documenti all’ultimo minuto?
Il quartiere, poi, era a due passi da Belleville. In un pomeriggio piovigginoso, il giorno prima di rientrare in Italia, ho percorso tutta Rue de Belleville sotto l’ombrello, in cerca di Benjamin. Una sensazione straniante, poiché ogni persona che mi capitava di incrociare mi chiedevo se potesse essere o non essere Malaussène (o Thérèse, o Verdun…) e solo rientrando in Rue Villiers de l’Isle-Adam, sinceramente delusa, mi resi effettivamente conto dell’assurdità del mio proposito.
Quel giorno ho capito che Daniel Pennac aveva creato un mondo immaginato potente, perché io in quel vialone ampio e trafficato cercavo persone reali, non i personaggi di un libro. E sono certa che in quella strada, dove tutto mi appariva compresso nella visuale ridotta dell’ombrello, Rabdomant e Cercaire correvano dietro a qualche lestofante e Julie, appostata a due passi da loro, li seguiva taccuino alla mano.
Quando, scartabellando tra i libri sulla mensola in corridoio, mi è capitato tra le mani La celeste avventura (e altri racconti) di Auguste de Villiers de l’Isle-Adam, un mare di ricordi ha inondato la mia mente. Sarà poi la reclusione forzata della quarantena e l’impossibilità di muoverci anche solo per fare la spesa, ma quel tempo parigino – quel viaggio, tutto intero – da ieri rimbomba prepotentemente nella mia testa. C’è da dire che per un periodo ho creduto che la mia vita fosse in Francia, ad aspettarmi da qualche parte (ma questa è un’altra storia) e quando penso di partire il primo posto che mi viene in mente è Parigi. Ed è sempre stato così.
Credo che principalmente dipenda dal fatto che io sono stata concepita lì, durante il viaggio di nozze dei miei genitori, quindi nel mio dna qualcosa deve pur esserci: amo la letteratura francese e la cultura, il loro modo di vivere, e amo addirittura la spocchia dei francesi (che a me sembra meno spocchiosa di quel che effettivamente è). Ma più di tutto amo la lingua francese, perché l’ho studiata e la leggo e comprendo piuttosto bene e, in particolar modo negli anni del liceo, la parlavo fluentemente e con soddisfazione.
E ad oggi, riflettendo, forse aver creato questo sito non fa che confermare che qualcosa di blu, bianco e rosso pulsa dentro di me: quando scrivo su queste pagine mi sembra di respirare la Francia, e devo ammettere che si tratta di un passatempo che mi sta regalando più emozioni di quanto credessi. Quindi, nell’attesa di tornare a Rue Villiers de l’Isle-Adam – et voilà la magia della scrittura – ogni volta che scrivo qui mi sembra di mettere giù i pensieri sentendo sul viso il sole del Nord, abbandonando le preoccupazioni su una sedia di metallo verde dei Jardin de Tuileries o nel fondo di un caffè, seduta al Les Deux Magots di Saint-Germain des Prés. Perché, in fondo, ognuno di noi è costantemente impegnato nella sua personale recherche. E la mia, sicuramente, passa anche da qui.